“Un gatto soriano diceva a un barbone…”: la poesia di Trilussa
Chi o cosa si cela dietro il gatto Soriano citato nella famosa poesia di Trilussa? Ecco delle possibili interpretazioni.
Non esageriamo quando diciamo che il gatto Soriano è uno dei più famosi e diffusi al mondo: lo è talmente tanto da essere citato in poesie di autori illustri, come Er gatto e er cane di Trilussa (1871-1950) in cui compare fin dal primo verso, “Un gatto soriano diceva a un barbone…“. Se siete curiosi di conoscere il significato di questa poesia e il ruolo che il nostro amico felino ricopre in essa, la analizzeremo per voi in questo articolo.
Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, in arte Trilussa (anagramma del suo cognome) è ricordato in particolar modo per le sue poesie in romanesco, alcune delle quali avevano per protagonisti degli animali. Er gatto e er cane è una di queste e recita così:
Un Gatto soriano
diceva a un Barbone.
“Nun porto rispetto
nemmanco ar padrone,
perché a l’occasione
je graffio la mano;
ma tu che lo lecchi
te becchi le botte.
Te mena, te sfotte,
te mette in catena
cor muso rinchiuso
e un cerchio cor bollo
sull’osso der collo.
Seconno la moda
te taja li ricci,
te spunta la coda…
Che belli capricci!
Io, guarda. so’ un gatto,
so’ ladro, lo dico:
ma a me nun s’azzarda
de famme ‘ste cose.”
Er Cane rispose:
“Ma io… je so’ amico!”
L’autore gioca sui principali stereotipi attribuiti al cane e al gatto, immaginando un dialogo tra loro sulle rispettive qualità che, a detta di molti, li caratterizzano: il gatto difende fiero la propria libertà dagli esseri umani e si vanta di non piegarsi ai loro capricci, ammettendo anzi di essere un “ladro” proprio come loro sostengono; il cane, dal canto suo, non nega il suo presunto servilismo nei confronti dell’uomo ma risponde semplicemente di comportarsi da “amico”.
A una prima lettura verrebbe spontaneo interpretare il tutto alla lettera e considerare questa poesia una critica all’eccessiva sottomissione del cane al padrone, frutto di un concetto di “amicizia” piuttosto unilaterale, per esaltare la maggiore indipendenza dei felini a discapito della loro immagine; oppure una polemica con la natura infida di questi ultimi, che non sono in grado di comprendere come “il miglior amico dell’uomo” sia disposto a sopportare di tutto pur di restare al fianco del suo umano. E potremmo essere ancora più tentati di farlo considerando altri lavori del poeta romano che utilizzano dinamiche simili, come ad esempio La solidarietà der gatto:
Er Cane disse ar Gatto:
– Se famo er patto d’esse solidali
potremo tenè testa a li padroni
e a tutte l’antre spece d’animali.
– Dice – Ce stai? – Ce sto. –
Ecco che ‘na matina
er Cane annò in cucina
e ritornò con un piccione in bocca.
– Me devi da’ la parte che me tocca:
– je disse er Gatto – armeno la metà:
sennò, compagno, in che consisterebbe la solidarietà?
– E’ giusto! – fece quello,
e je spartì l’uccello.
Ma in quer momento er coco,
che s’incajò der gioco,
acchiappò er Cane e lo coprì de bòtte
finchè nu’ lo lasciò coll’ossa rotte.
Appena vidde quel’acciaccapisto
er Gatto trovò subbito la porta,
scappò in soffitta e disse: – Pe’ ‘sta vorta
so’ solidale, si, ma nun insisto!
Anche qui, infatti, i nostri amici felini sono dipinti come degli irriducibili opportunisti che si mostrano “solidali” solo quando è più conveniente per loro, per poi svignarsela non appena le cose si mettono male. Ma se è vero che si tratta di stereotipi scomodi e infondati per molti amanti dei gatti, è anche vero che per Trilussa si trattava semplicemente di concetti popolari e di facile comprensione attraverso cui analizzare difetti e vizi tipici dell’uomo stesso, e magari lanciare anche un velato attacco a qualcuno che non poteva criticare apertamente.