Perchè si dice che i gatti hanno sette vite?
Si dice che i gatti hanno sette vite per la loro capacità di sopravvivere dopo una caduta, come se rinascessero. Vediamo di cosa si tratta
I gatti sono animali con un’agilità sorprendete. A volte li vediamo muoversi con sinuosità ed eleganza e rimaniamo ammaliati. Altre ancora ci fanno sorridere perché improvvisamente appaiono goffi e si ritrovano in situazioni in cui perdono l’equilibrio o scivolano, ma pur con tante peripezie riescono sempre a ricadere sulle quattro zampe. Sembra davvero che siano immortali, hanno delle capacità straordinarie.
Proprio questa caratteristica del gatto, di riuscire a ricadere sulle zampe anche se fanno dei balzi improvvisi e, ai nostri occhi, pericolosi, ci porta spesso a dire che i gatti hanno sette vite. È un modo per sottolineare il fatto che non saranno certo questi “piccoli” incidenti a causare loro dei danni, perché ne usciranno sempre vivi e illesi. Sicuramente avete anche sentito dire che i gatti hanno nove vite, allora qual è la verità? Quante vite hanno i gatti: sette o nove? E perché si dice che i gatti hanno sette vite? Da dove nasce questo detto? Se vi state facendo anche voi tutte queste domane, siete atterrati nell’articolo giusto. Scopriamo insieme di cosa si tratta.
La longevità del gatto
Dire che i gatti hanno sette vite è un po’ come dire che siano immortali. In realtà – purtroppo – non è così. Anche per questi piccoli felini c’è una durata media di vita e conoscere la loro longevità è un primo passo importante quando si decide di accogliere nella propria famiglia uno di loro.
I gatti possono essere molto longevi, cioè possono vivere molto a lungo e farci compagnia nelle nostre giornate per tanti anni. Nei tempi recenti, inoltre, l’aspettativa di vita per i gatti si è allungata grazie ai progressi della scienza, alle vaccinazioni, ai cibi di qualità sempre maggiore e – naturalmente – grazie ai consigli dei veterinari. Un po’ come è successo anche all’uomo. Nel Medioevo per esempio gli esseri umani vivevano più o meno fino a settanta anni, oggi a quell’età si ha ancora buona parte di vita davanti.
Un gatto però non vive quanto un uomo. La vita media di un gatto è circa sei volte più breve della nostra ed è compresa tra i 15 e i 20 anni. Questo significa che difficilmente il gatto supererà l’aspettativa di vita del suo umano. Ci sono anche delle eccezioni che confermano la regola. Si sa, per esempio, di un gatto da record dei Guinnes che è morto a 34 anni, più del doppio dell’aspettativa di vita di un gatto, un po’ come se un uomo avesse vissuto fino a 180 anni. Qualcuno parla anche di un gatto che ha vissuto per ben 38 anni, dal 1967 al 2005.
Sono casi rari ma non impossibili. È comune, per esempio, trovare dei gatti che raggiungono un’età di 18 o 20 anni, che ci permette di godere più a lungo della loro compagnia in casa. Questo anche grazie ai tanti fattori che influiscono sulla durata della vita di un gatto, legati soprattutto al suo benessere e all’ambiente in cui vive.
I gatti hanno sette vite, origini di una leggenda
Se alla longevità del gatto aggiungiamo le sue particolari capacità di destrezza, allora davvero possiamo arrivare a pensare che sia immortale, che non abbia una sola vita ma rinasca continuamente. Per essere precisi fino a sette volte. Il detto per cui i gatti hanno sette vite affonda le sue origini nel Medioevo.
A quei tempi infatti giravano molte leggende esoteriche che attribuivano poteri magici e soprannaturali ai gatti. Questo è uno dei motivi per cui sono spesso associati anche alle figure delle streghe e alle loro metamorfosi. Pensate, ad esempio, ai gatti che fanno la gobba che fanno parte dell’iconografia di Halloween.
Le credenze popolari poi hanno fatto la loro parte. Il fatto che i gatti riescano a sopravvivere a cadute anche da punti elevati, senza alcun graffio, ha portato a credere che questi piccoli felini riuscissero a ritornare in vita dopo un incidente. Questo perché i gatti sono animali di piccola taglia e il loro peso riesce ad attenuare il colpo dopo una caduta. Ammortizzano la caduta anche grazie al loro spiccato senso di equilibrio, che gli permette di calcolare rapidamente la posizione e atterrare su quattro zampe. Inoltre, hanno la capacità di recuperare in fretta il loro normale stato di salute anche di fronte a ferite gravi. Praticamente erano considerati immortali.
Tutto ciò in realtà non ha alcunché di magico, anzi è tutto comprovato dalla scienza. Secondo uno studio pubblicato sul “Journal of American Veterinary Medical Association”, il gatto ha più probabilità di salvarsi se cade da un’altezza maggiore rispetto ad una piccola. Questo perché, cadendo da un piano alto, il piccolo felino rilassa i muscoli del ventre e allarga le gambe come un ombrello. In questo modo riesce a rallentare la caduta perché aumenta l’attrito con l’aria. Riesce quindi ad avere più tempo a disposizione per prepararsi all’atterraggio sulle quattro zampe. Inoltre, quando atterrano, i gatti piegano le gambe per distribuire il colpo tra ossa, articolazioni e muscoli. Precisiamo però che lo studio si è basato su 132 casi in cui i gatti sono sopravvissuti alla caduta.
La simbologia del numero sette
Ecco quindi che sulla base di queste credenze popolari nate nel Medioevo, nei Paesi occidentali si cominciò a pensare che i gatti hanno sette vite. Ma a questo punto viene da chiedersi perché proprio sette. Il motivo è legato alla simbologia di questo numero, che rappresenta la perfezione. Scopriamola insieme.
Il numero sette per i Pitagorici era il punto di incontro tra l’umanità e la divinità, dal momento che alla prima era associato il numero tre e alla seconda il numero quattro, la cui somma fa sette. Platone associava questo numero al concetto di eternità. Nel Medioevo le Arti e le Scienze fondamentali erano sette: Lingua (Grammatica), Ratio (Logica), Tropus (Retorica), Numerus (Aritmetica), Angulus (Geometria), Tonus (Musica) e Astra (Astronomia).
Anche nella simbologia islamica i gatti hanno sette vite, non è solo una credenza occidentale. In realtà per gli islamici i gatti hanno sette anime, chiamate seb’aruah. Questo perché erano considerati degli animali ambivalenti e venivano loro associate molte capacità.
Quando poi nei Paesi occidentali si diffuse il cattolicesimo, il numero sette mantenne la sua simbologia legata alla perfezione e alla completezza, con qualcosa di “divino”. Sette sono i giorni che Dio dedicò alla creazione dell’universo, sette è il numero che ricorre nell’Apocalisse tra spiriti, stelle e coppe. Sette sono i Sacramenti, le virtù teologali e cardinali, i doni dello Spirito Santo, le opere di Misericordia, le piaghe d’Egitto e così via.
Il numero sette ha poi mantenuto il suo valore esoterico anche in molte altre culture. Pensiamo per esempio agli Egiziani. Per loro il sette era simbolo di vita, infatti le piramidi sono state costruite unendo un quadrato ed un triangolo, ancora una volta quattro più tre. Sette sono i giorni che compongono le quattro le fasi lunari, ecco perché si pensa che sia un numero perfetto. Infine anche per i Buddhisti il sette rappresenta il numero completo.
Quante vite ha il gatto? Sette o nove?
Abbiamo visto fin qui quale sia l’origine del detto secondo cui i gatti hanno sette vite e perché proprio sette. In realtà però non è per tutti così. Nei Paesi anglosassoni per esempio, secondo la tradizione, i gatti hanno nove vite. In Inghilterra infatti si dice “avere nove vite come un gatto”. Questo ha fatto sorgere spesso tanti dubbi e in molti si chiedono quante vite ha il gatto, se sette o nove.
Il motivo di base è sempre legato alla capacità di “sopravvivenza” del gatto, alla sua longevità e alla sua capacità di atterrare in piedi e illeso sulle quattro zampe dopo una caduta da un’altezza rilevante.
Anche attorno al numero nove c’è una precisa simbologia e un certo esoterismo. Il numero nove si spiega probabilmente perché è legato al numero tre considerato il numero perfetto. Nove infatti equivale a tre volte tre, quindi la perfezione per eccellenza.
La credenza che attribuisce nove vite al gatto, infine, può derivare dalla confusione tra il micio e il gatto a nove code, una tipologia di frusta usata anticamente come strumento di tortura nei Paesi anglosassoni.