I gatti sono condizionati dalle emozioni umane: lo dice la scienza
La scienza ha dimostrato che molti dei comportamenti che i gatti mettono in atto sono condizionati dalle emozioni umane.
La scienza conferma, dopo diversi decenni di ricerche più o meno proficue, che i comportamenti che i gatti adottano sono influenzati maggiormente dalle emozioni che il proprio umano gli trasmette.
Il nostro articolo inizia parlando della ricercatrice Kristin Vitale, dell’Oregon State University, che ha salvato dal ciglio della strada un gattino randagio. Con lui ha voluto tentare dei test che mettessero in evidenza l’intelligenza sociale dei gatti.
Fino a quel giorno anche altri avevano provato a cimentarsi in diversi test per poter comprovare ciò, ma con esiti non soddisfacenti o altre volte addirittura vani. Questo perché, i gatti dopo poco tempo che venivano sottoposti a dei test cognitivi, si stancavano e, o abbandonavano la prova oppure smettevano del tutto di prestare attenzione.
Quindi i ricercatori, si sono concentrati principalmente sulla razza canina, molto più incline all’attenzione.
Nel 1996, l’allora studente dell’ Emory University di Atlanta, Brian Hare, si stava cimentando nello studio del test del puntamento dei bambini. Ovvero il bambino deve rivolgere lo sguardo verso l’oggetto o un punto dello spazio, indicato dal ricercatore. In quel frangente a Brian Hare venne una idea; riproporre quello stesso esperimento sui cani.
Due anni dopo, tramite la pubblicazione di una ricerca, riuscì a dimostrare che anche i cani superavano il test del puntamento. Tesi che poi fu avvalorata da un’altra ricerca analoga realizzata da Adam Miklòsi dell’Universitá Eötvös Loránd di Budapest. Con queste due ricerche e a quelle che si susseguirono nel corso degli anni, si confermava l’abilità dei cani nel riconoscere, nei volti delle persone, emozioni e di comprendere quindi il linguaggio umano.
Fu poi lo stesso Miklòsi a tentare nel 2005 di ripetere lo stesso studio sui gatti. I luoghi scelti per condurre questi test erano le case dei proprietari stessi. Ma purtroppo questa ricerca non dette i risultati sperati! Infatti alla prova del puntamento, i gatti o si allontanarono dal luogo del test o smisero di prestare attenzione.
Miklòsi abbandonò il proposito di studiare i gatti e passò circa un decennio prima che qualcuno ci riprovasse. Ci riprovò un team italiano che, con un interessante esperimento, provò che anche i gatti riprendono i loro comportamenti dalle emozioni espresse dai proprietari. Questa affermazione fu resa possibile osservando un gatto con il suo proprietario e un ventilatore dove vi erano attaccate delle strisce colorate. Azionando il ventilatore, di conseguenza queste strisce svolazzavano e si è potuto notare come il gatto cercasse in continuazione lo sguardo umano quasi come a chiedergli il comportamento che doveva adottare davanti a quell’oggetto.
A seguito di ciò altri ricercatori tentarono di nuovo l’approccio felino. L’etologo Pongrácz, ha esaminato un gruppo di gatti durante un test e il risultato è impressionante. Ha cercato, infatti, di portare il test di puntamento, ad un livello successivo, ovvero invece di usare le dita per indicare un oggetto, usava solamente lo sguardo. Ne è risultato che i gatti hanno seguito lo sguardo il 70% delle volte.
I Test di Kristyn Vitale
Rincuorata da questi test positivi, Kristyn Vitale, volle fare un particolare test sul gatto che aveva accolto. Insieme ad un collaboratore, si posizionarono in una stanza completamente bianca. Vitale si appoggiò alla parete e ai suoi lati, due ciotole di cartone rovesciate. Il suo collaboratore, teneva invece il gatto (venne chiamato Carl) ad una distanza di circa due metri.
Vitale, poi, ad un certo punto, pronunciò il suo nome e gli indicò una delle due ciotole. Il gatto superò abilmente il test, come avevano fatto in precedenza i cani. Vitale quindi spostò la sua ricerca a livelli più alti e, collaborando con il ricercatore Udell , dimostrò che i gatti prediligono passare il loro tempo con chi gli presta maggiormente attenzione e non, come si credeva prima, che i gatti interagissero con l’uomo solo per la necessità di cibo o di gioco.
È stato possibile determinare ciò grazie all’esperimento che nel 2015 avevano condotto i ricercatori italiani e che Vitale ripropose. Le protagoniste di questo esperimento furono la gatta Lyla e la sua proprietaria Clara.
Vitale sistemò un ventilatore con delle strisce bianche e nere. Quando lo accese, naturalmente, queste strisce si dimenavano di qua e di là. Poi lei uscì dalla stanza e fece entrare Clara insieme al suo gatto Lyla.
Clara si sistemò abbastanza vicino al ventilatore e usando modi molto gentili cominciò a “parlare” con il ventilatore. Da parte sua Layla, si accoccolò vicino a Clara in cerca di rassicurazione. Poi Clara disse a Layla: “Non vuoi vedere il ventilatore?”. Layla, quasi come se avesse preso coraggio, si avvicinò al ventilatore e dopo averlo esaminato ci si sdraiò accanto. Quindi il comportamento positivo e rassicurante di Clara aveva influito particolarmente sul comportamento di Layla.
Guardate il video qui di seguito, postato dalla rivista scientifica online Science che ha raccontato i progressi ottenuti sullo studio dei gatti.
Le due erano state già le protagoniste di un precedente esperimento dove Clara si era posizionata in mezzo ad una stanza con Layla. Ad un certo punto Clara uscì, lasciando da sola Layla, che cominciò ad agitarsi, piangere e andare verso la porta. Quando Clara rientrò, la gatta le si strusciò addosso e poi cominciò a girovagare nella stanza, incurante, sembrava, della presenza di Clara. Ma, questo comportamento dimostrò che i gatti esplorano un determinato ambiente solo quando si sentono veramente sicuri e che quella sicurezza viene data dal comportamento del proprio proprietario.
Non dimenticandoci comunque che il gatto seguirà sempre la persona che gli presta attenzione, piuttosto che con quella che si presenta indifferente.
Ad oggi, comunque le ricerche sul gatto, sono molto più limitate rispetto a quelle sui cani. Questo a causa dello stereotipo che i gatti siano una specie indipendente e antisociale. Sicuramente, come avete potuto constatare voi stessi dall’articolo, è più difficile poterci lavorare, ma, possiedono una intelligenza sociale pari a quella del cane e sono molto inclini alle emozioni che gli umani trasmettono.